Barihazard – 180 giorni dopo

In un universo parallelo, il coronavirus che ha colpitola Cina è davvero arrivato a Bari e ha cominciato a diffondersi. A quanto pare, il governo di quell’universo decise di isolare la città per evitare che l’epidemia si allargasse al territorio nazionale. Un cordone militare venne disposto lungo i suoi confini. Nessuno poteva entrare. Nessuno poteva uscire. Quello che segue è il resoconto pervenutoci dei giorni di isolamento. Che Dio abbia pietà di noi.

PRIMO GIORNO DI ISOLAMENTO
Sono diramate le regole basilari per prevenire il contagio: evitare luoghi affollati, lavarsi spesso le mani, prestare attenzione ai sintomi descritti. La cittadinanza, però, non sembra disposta a seguirle. Le autorità non sono sorprese. Da delle persone che hanno bisogno di essere obbligate a non farsi il bagno in mare quando in mare ci sono i liquami della fogna è lecito aspettarsi resistenza a tutto. Si impongono sanzioni pecuniarie. La gente inizia a lavarsi le mani.

PRIMA SETTIMANA DI ISOLAMENTO
Non si evidenziano grossi disagi. Anzi, si registra persino qualche lato positivo. Non potendo uscire dalla città, i baresi che lavorano nel suo hinterland sono in vacanza giustificata e quindi pagata. Non dovendo accogliere i non baresi che lavorano a Bari, il traffico della città ne beneficia. Di conseguenza, molti baresi si godono un riposo retribuito in una città più tranquilla e possono così seguire con attenzione le notizie sulla crisi in corso. Il presidente della regione Michele Emiliano dice che risolverà la questione in pochi giorni, a patto che da Roma gli arrivino i fondi richiesti. Il sindaco Antonio Decaro invita i cittadini alla calma. I cittadini gli chiedono quando uscirà il bando delle case popolari e quando si ricorderà di Via Manzoni. A livello meno istituzionale, i giovani specializzandi del Policlinico inondano i social di post di Burioni mettendosi like a vicenda. I parenti dei pazienti del Policlinico raccontano le ore che hanno dovuto aspettare per essere visitati. Come detto, non si evidenziano grossi disagi.

SECONDA SETTIMANA DI ISOLAMENTO
Le cose si complicano. La Gazzetta del Mezzogiorno pubblica un’intervista a un impiegato cinquantenne, laureato in Scienze Politiche, che denuncia la verità della situazione: il virus, in realtà, non è mai esistito. È una replica della Xylella. La causa della malattia, infatti, è l’inquinamento. L’Unione Europea avrebbe fatto poi il resto approfittandone per attaccare l’Italia, il sud, e i suoi tesori.La teoria si diffonde. I magistrati aprono un’inchiesta e nel frattempo sospendono le minime misure di sicurezza: ci si può di nuovo recare nei locali e ci si può di nuovo lavare le mani una sola volta al giorno. Da questo momento, la diffusione del virus aumenta in maniera considerevole.

TERZA SETTIMANA DI ISOLAMENTO
La situazione inizia a precipitare. Al 21 del mese le persone che hanno affittato le stanze agli studenti fuorisede, in assenza dei fuorisede che sono bloccati nelle rispettive città di provincia, non ricevono i loro affitti in nero. Sono così costretti a cercare altri inquilini alcuni dei quali hanno però la pretesa di stipulare dei regolari contratti. Il mercato immobiliare prende a scricchiolare. Non è l’unico. Anche il mercato digitale comincia a mostrare segni di sofferenza. Dopo tre settimane di clausura entro i confini cittadini, le Instagrammers baresi hanno ormai esaurito i due posti che si possono fotografare in città. Stanche di cercare nuove prospettive di Palazzo Mincuzzi o di svegliarsi all’alba per fotografare il mare, le imprenditrici digitali scendono in piazza al grido di “lasciateci andare a Polignano”. Ma è inutile.Con l’aumento dei malati il cordone sanitario intorno a Bari si fa sempre più stretto. Impossibile uscire. Inoltre, per non spaventare i turisti, Polignano decide di trasferirsi in provincia di Brindisi. Qualche chilometro più in là, in mancanza di villeggianti baresi, a Rosamarina tornano i tedeschi.

QUARTA SETTIMANA DI ISOLAMENTO
La tragedia vera e propria. L’afflusso di pomodori dalle aree rurali, sempre più debole nelle settimane precedenti, si interrompe. In città, non ci sono più pomodori. La focaccia barese diventa focaccia genovese. Accanto ai morti per il virus, si registrano i primi suicidi.

SECONDO MESE DI ISOLAMENTO
In giro, si vede sempre meno gente. I baresi sono esausti. Non picchiano più gli autisti dei bus né i medici del Pronto Soccorso. Non ne hanno più voglia. Nessuno dice più all’altro “tu stai bene” o “beato a te”. I panzerotti vengono fatti solo al forno per risparmiare l’olio.
Il Salento approfitta della situazione per costituirsi regione a sé stante.

TERZO MESE DI ISOLAMENTO
La consueta festa patronale non si svolge. Per compensare l’assenza dei fuochi d’artificio, i baresi incendiano di nuovo il Petruzzelli.

QUARTO MESE DI ISOLAMENTO
La procura chiude le indagini. Il virus esisteva veramente. Ci si deve di nuovo lavare le mani più volte al giorno.

QUINTO MESE DI ISOLAMENTO
Al comune viene eletto un sindaco della Lega con il 73% delle preferenze.

SESTO MESE DI ISOLAMENTO
L’epidemia viene dichiarata sotto controllo. Le porte della città vengono riaperte ma la città è irriconoscibile. Con la popolazione decimata, le strade sono deserte e si trova parcheggio al Chiringuito. I posteggiatori abusivi, per compensare la minore domanda, richiedono un minimo di due euro a sosta. All’università, parecchi docenti hanno perso i loro parenti e sono costretti ad assumere sconosciuti. Il Ministero dell’Interno calcola le perdite umane nell’ordine di 150.000 persone. Questo trasforma Bari nella città con il più alto indice di ristoranti giapponesi per abitante al mondo: ci sono tre ristoranti di sushi all you can eat per ogni abitante. I prezzi, di conseguenza, crollano. Qualche barese, mentre si strafoca di roll a buon mercato, pensa che in fondo ne sia valsa la pena.

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