Come si diventa ciò che si è: gli amici medici e le loro specializzazioni

Prologo: La strada non presa
La facoltà di Medicina ha una sua logica intrinseca che non sfugge a nessuno, nemmeno agli studenti di Psicologia: chi studia Medicina, fa il medico. Semplice, pulito, perfetto. Studiare Medicina è una strada che ha senso. Un senso unico, direbbe qualcuno dall’animo più artistico che pratico, ma pur sempre un senso: che è molto di più di quanto si possa dire di molti altri corsi di studio. Però, ad un certo punto, anche questa strada a senso logicamente unico si dirama. Si studia Medicina per fare il medico, e siamo d’accordo, ma quando si finisce di studiare Medicina bisogna decidere che tipo di medico fare. E di medici, di tipi di medici, ce ne sono a bizzeffe. Dalla A di anestesista alla V di virologo, e se ci si mette d’impegno di sicuro si trova anche qualcosa con la Z.  Tante specializzazioni da fare ma una vita sola per farle. E allora come si sceglie che tipo di medico si vuol diventare? E soprattutto, direbbe Orwell, tutti i tipi di medici sono uguali o ci sono alcuni che sono più uguali degli altri?
Per rispondere a queste mie curiosità, qualche tempo fa ho telefonato ad un mio amico medico, specialista in censura, e che lavora presso il Policlinico di una città che, per comodità, chiameremo Bari.
«Come si sceglie che tipo di medico vuoi diventare?», gli ho chiesto.
«Dipende dalle inclinazioni personali», mi ha risposto.
«E ci sono specializzazioni migliori e altre peggiori?»
«Ogni specializzazione ha una sua dignità e importanza»
«È la verità?»
«No»
«E qual è la verità?»
«Se vuoi», ha sogghignato, «ti porto a vederla dal vivo, la verità»
«Lo voglio»

 Parte Prima: L’incontro
Qualche giorno dopo, ci incontriamo in una via non lontano dal Policlinico al riparo da sguardi indiscreti. Il mio amico indossa degli occhiali da sole e si guarda intorno con fare circospetto.
«Ti ha seguito qualcuno?», mi domanda non appena gli arrivo di fronte.
«No, non credo. A te?»
«C’erano due specializzandi di Psichiatria che mi stavano dietro in corso Benedetto Croce ma li ho seminati»
«Come sai che erano di Psichiatria?»
«Avevano meno di trent’anni e già lo sguardo spento di chi ha rinunciato ad essere utile»
«Capisco», rispondo affascinato.
«Ma tu sei proprio sicuro che qualcuno non ti abbia seguito?»
«Penso di sì. O almeno io non ho visto nessuno»
«Nemmeno un anestesista?»
«Eh? No, non credo. E poi come si fa ad accorgersi di un anestesista?»
«Non puoi», sorride, «degli anestesisti te ne accorgi solo alla fine. Tu però sei sempre sicuro di volerlo fare?»
«Sì. Tu?»
«Credo di sì»
Iniziamo allora ad incamminarci verso l’obiettivo e, in pochi minuti, siamo di fronte all’ingresso del Policlinico. Alla rotonda, prima di attraversare, ci fermiamo però di scatto. A bloccarci è un sentimento condiviso di paura.
«Se attraversiamo», dice il mio amico, «non possiamo più tornare indietro»
«Lo so»
Rivolgiamo entrambi lo sguardo verso la statua di Padre Pio e lui scuote la testa per consigliarci di non farlo. Ma ormai è troppo tardi. Il mio amico mi guarda. Io lo guardo. Lui annuisce. Io annuisco. I nostri piedi riprendono a muoversi, ci lasciamo un rassegnato Padre Pio alle spalle e, in pochi secondi, varchiamo la soglia.

 Parte Seconda: L’uniforme del mio secolo
«Siamo dentro»
«Sì, siamo dentro»
«Renato, ora ascoltami. Da questo momento in poi, devi fare esattamente come ti dico»
«Ok»
«Io qua ci vivo praticamente da un decennio. Sono parte dell’organismo. Mi muovo come loro, penso come loro, mi lamento come loro, mangio male come loro. Ma tu, Renato, tu dai nell’occhio. Se ci vedono camminare insieme possono sospettare qualcosa»
«Non posso fingere di essere, che ne so, un ortopedico dell’ospedale di Brindisi?»
«Non dire cretinate. Non hai la faccia di un ortopedico»
«Perché che faccia ha un ortopedico?»
«La faccia di uno che lavora con le ossa e le articolazioni»
«Cioè?»
«Stupida e soddisfatta»
«E allora che si fa?»
«Se non puoi essere un medico, sarai l’altra cosa»
Due secondi di reciproco silenzio. Poi capisco.
«Un paziente?»
«Già»
«E come diavolo faccio a fingere di essere un paziente?»
«Non è difficile. Io cammino a passo spedito e tu mi stai accanto arrancando con la faccia tesa e ubbidiente. Ricordati di annuire almeno tre volte al minuto»
Sono un po’ perplesso ma accetto le sue condizioni. D’altra parte stiamo giocando nel suo territorio.
«Un’altra cosa, Renato. Cercherò di evitarlo ma potrebbe capitare. Potremmo incontrare delle mie colleghe. In quel caso cosa dirai?»
«E che devo dire? Buongiorno dottoressa e arrivederci dottoressa!»
«No. Devi dire “buongiorno signorina” e “arrivederci signorina”. Chiamare le dottoresse, dottoresse è sospetto qua. Denota competenza. Sei nel Policlinico di Bari e sei un paziente, ricordatelo. Una donna sotto i trentacinque anni è una “signorina”. Se le chiami nel modo giusto, potrebbero scoprirci. Hai capito?»
«Anche se indossano il camice?»
«Soprattutto se indossano il camice»
«Allora ricapitoliamo: arranco dietro di te, ti guardo come se fossi pronto a farti un pompino, annuisco sempre e ignoro il percorso universitario delle donne. Corretto?»
«Bravissimo. Su, iniziamo»

 Parte Terza: Nel ventre della balena
Il mio amico ci sa fare. Se ci vedessi dall’esterno, ci cascherei alla grande. Sembriamo veramente diretti verso un reparto, lui – il medico – intento a dirmi cose semplificando i concetti e io – il paziente – intento a fare domande idiote. Ma, in realtà, non c’è alcuna vita in ballo nei nostri discorsi. C’è molto di più. C’è tutta la verità del mondo.
«Lo vedi quel medico laggiù? Quello con il pizzetto?», mi domanda indicandomelo con gli occhi.
«Sì»
«Quello è del mio stesso anno. Abbiamo anche fatto qualche esame insieme. E adesso guardalo. Secondo te che medico è?»
«Eh…non lo so»
«Nefrologo. È un nefrologo. Passa le giornate sperando che gli urologi non gli rubino tutto il lavoro. Chi sceglie di fare nefrologia è una brava persona, un buon professionista della medicina. “Si idrati prima e dopo l’esame”, “Allora, come va quella cisti renale?” e cose del genere. C’è di meglio, intendiamoci. Ma anche molto di peggio»
«E l’urologo?»
«Oh beh, chi sceglie urologia fa invece un investimento a medio-lungo termine. Sa bene che sarà bersaglio di tutte le migliori barzellette e battute su cazzi, testicoli, esplorazioni rettali e quant’altro. Ma sa anche che dal suo dito indice passeranno tutti, prima o poi. E lì, di solito, hanno ben poca voglia di scherzare»
«Senti», gli dico a voce più bassa, «magari è una domanda sciocca ma, ecco, esistono donne che scelgono urologia?»
Il mio amico rallenta.
«Nessuno lo sa con certezza. C’è sempre un collega che ti dice che, una volta, ha lavorato con una urologa ma di solito lo dice a fine turno, strafatto di caffè e nessuno gli crede»
«Cavolo»
«Già. Ma non perdiamo tempo. Vedi quella strada laggiù? Se prosegui sempre diritto arriverai a Otorinolaringoiatria»
«Non penso di aver mai conosciuto un otorinolaringoiatra che avesse meno di sessant’anni»
«Esattamente. Otorinolaringoiatria è una di quelle specializzazione a cui uno a vent’anni non ci pensa. Manco la considera. Poi ti distrai un attimo, fai l’abilitazione, ti giri e bam! Ti trovi un otorinolaringoiatra di cinquantuno anni. Quando è successo? Come è successo? Chissà.»
«Dai, ma non è possibile»
«Libero di non crederci. Ma qua dentro non tutto può essere spiegato. Esistono posti strani, misteriosi. Ecco, per esempio, se seguiamo la strada e curviamo a sinistra accanto alla sempre gettonata Oftalmologia…»
«Tanta gente vuole fare l’oculista?»
«Molta. L’occhio tira sempre e oggi ancora di più. Più del mattone e dell’oro, la cataratta è l’investimento del futuro. Gli oculisti possono essere bravi medici o meno ma sono sempre furbi. Comunque ti stavo dicendo. Accanto troverai Dermatologia. Dermatologia insieme a Medicina Legale e Medicina del Lavoro forma il cosiddetto Triangolo delle Bermuda di Medicina»
«Come quello in cui si dice che scompaiano navi e aerei?»
«Sì. Con la differenza che se capiti all’interno del Triangolo delle Bermuda di Medicina, scompare la medicina. I dermatologi sono falsi medici, i medici legali non sono medici, e i medici del lavoro spesso non sono nemmeno lavoratori»
Rimango interdetto.
«Ma scusa perché uno che ha studiato sei anni medicina dovrebbe scegliere di non fare il medico?»
«Bella domanda. Forse per soldi, forse per qualche strana perversione. E tieni conto che, a voler essere precisi, il Triangolo potrebbe anche essere un Pentagono o un Esagono»
«Vuoi dire che ci sono altri non-medici con la laurea in medicina?»
«Uff. Medici dello sport: simpatici ma…nient’altro. Specialisti in Igiene: non sanno cosa sia un paziente. E c’è anche gente che si è laureata in medicina e fa il medico estetico»
«Il medico estetico? E che roba è?»
«Uno che ti inietta acido ialuronico e altre robe per levigarti la pelle e farti credere che non è ancora arrivato il momento di restare a casa il venerdì sera»
«Ma tipo quello che si vede nella Grande Bellezza che spara lo schifo nel volto delle vecchiacce ricche in attesa?»
«Esattamente»
«Cazzo ma esistono per davvero? Io credevo fosse solo un film!»
«Esistono, e devi sapere che…o cazzo!»
«Che succede?»
«Ci sta venendo incontro una collega che conosco. Ematologa. Stai al gioco e non prendere iniziative»
«E se mi chiede che cos’ho?»
«Non te lo chiede. Mica funziona così»
«Vabè metti che succede. Posso dire che ho la sindrome di Kartagener?»
«Non hai la sindrome di Kartagener»
«Quella di Kawasaki?»
«Smettila»
«La sindrome di Kallmann?»
«Ti ho detto di smetterla. Ma perché poi tutte con la K?»
«Ѐ che ieri mi è venuta la curiosità di conoscere le malattie che iniziano con la K e allora mi sono messo a cercarle su internet»
«Cristo santo. Stai zitto. Lascia parlare me… ehi ciao»
«Ciao. Stai andando in reparto?»
«Eh sì. Sto accompagnando un mio amico per delle analisi»
Faccio un cenno col capo, lei mi sorride.
«Ѐ in ottime mani», mi dice con aria leggera
«Oh lo so, dottoressa»
Merda.

Parte Quarta: La lezione di anatomia
Qualche secondo di imbarazzante silenzio. Il mio amico mi sferra un’occhiata colma di odio. L’ematologa mi guarda insospettita.
«È veramente un paziente?», domanda al mio amico.
«Sì, certo… cosa credi?»
«Posso chiedere che tipo di analisi deve fare?»
A me viene in mente solo “Sindrome di Lambert-Eaton” perché ieri sera, dopo la K, sono passato alla L. Al mio amico, a giudicare dallo sguardo impaurito, nemmeno quello. Oh, al diavolo tutto.
«Perché ha scelto di fare Ematologia?», rilancio invece di rispondere.
L’ematologa guarda il mio amico, il mio amico annuisce rassegnato in silenzio.
«Hai portato un Babbano ad Hogwarts?»
«Sì, ma non perdiamo la testa. È un tipo fidato. Vuole solo capire un po’ come funziona… »
«AH, e crede di riuscirci?»
Si volta verso di me.
«Credi di riuscirci? Credi davvero di poter entrare qua dentro e di riuscire a capire? Che fai nella vita?»
Deglutisco.
«Sto finendo un dottorato in qualcosa che riguarda la letteratura. Non che abbia capito bene. Mi cambiamo il titolo ogni anno. A volte faccio ripetizioni di latino».
Socchiude gli occhi metabolizzando il disgusto.
«Noi», riprende, «noi abbiamo superato un test solo per entrare qui dentro. E tu, dopo dieci anni, ti presenti qui senza nemmeno una malattia da darci e pretendi di capire perché facciamo quello che facciamo. Perché siamo quello che siamo»
«Ecco, messa così, ammetto che possa suonare male ma…»
«Va bene Babbano», m’interrompe, «seguimi pure»
Guardo il mio amico che solleva le spalle e, dopo un reciproco cenno di assenso, la seguiamo fino ad un porticato. Qui ci fermiamo e l’ematologa sfila due sigarette da un pacchetto di Camel. Una se la mette tra le labbra, l’altra la dà al mio amico.
«A te niente», mi dice. «Fumare fa male».
«E a voi no?»
«Noi siamo medici», mi risponde il mio amico. «Noi conosciamo la grande verità sulla vita»
«Cioè?»
«Che tutto fa male»
L’ematologa sghignazza mentre inspira la prima boccata.
«Dunque, Babbano. Vuoi sapere perché ho scelto Ematologia? Onestamente credo di esserci arrivata un po’ per gradi. Ho escluso Ginecologia quasi subito»
«Come mai?»
«I film di canale 5 c’insegnano che una donna che fa Medicina finisce per diventare o ginecologa o pediatra. Io, semplicemente, non volevo essere un film di canale 5»
«Ginecologia», interviene il mio amico, «è una specializzazione che polarizza le donne. C’è chi la trova così naturale da risultare irresistibile e c’è chi la trova così naturale da risultare insopportabile»
«E Pediatria?»
«Sai cosa dice un mio collega pediatra?», mi domanda l’Ematologa.
«Cosa?»
«Che Pediatria sarebbe splendida se i bambini fossero tutti orfani»
«Pesante»
«Già. E questo ti dà il polso di chi sceglie Pediatria. Gente con un grande cuore e grande pazienza. Io», ed espira una nuvola di fumo, «sono carente in entrambi. Dai, prosegui. Inizio a divertirmi»
«Mmm, vediamo. Geriatria?»
I due medici si scambiano un’occhiata e scoppiano entrambi a ridere.
«Geriatria? Oddio, dato che gli anziani saranno sempre di più, forse è la specializzazione del futuro. Ma, dio santissimo, chi è che sceglierebbe geriatria?», e si rivolge al mio amico.
«Quelli a cui non importa di vincere», dice lui tutto sornione.
«Già, è come Psichiatria», fa lei di rimando, «battaglie perse in entrambi i casi»
«Ecco, ma a proposito di Psichiatria…»
«La mente umana», m’interrompe il mio amico. «Quelli che vogliono scegliere Psichiatria tirano sempre in ballo la mente umana. Il suo misterioso funzionamento. Il suo fragile equilibrio. Se parli con un aspirante psichiatra, sembra di parlare con un poeta e non con un medico»
«Ma non starete esagerando?», domando.
«Certo che sì. Ma non era quello che volevi?», mi risponde il mio amico.
«Volevo la verità»
«E la verità è sempre esagerata, Babbano», mi dice l’Ematologa, «almeno quando la devi spiegare agli altri»
«Che intendi?»
«Sei venuto qua pensando che ci fosse una risposta sola, semplice, confortevole. I cardiologi sono diventati cardiologi perché il cuore è importante. I gastroenterologi hanno scelto gastroenterologia perché sentivano le farfalle nello stomaco. I neurologi perché… dio, non saprei trovare un motivo nemmeno fasullo perché uno voglia fare il neurologo. Vabbè, in ogni caso: era quello che ti aspettavi più o meno, no?»
«Una roba del genere sì»
«E invece non funziona così. Cosa credi che io abbia scelto Ematologia perché sono caduta da piccola in una vasca piena di sangue 0 negativo?»
«No, certo ma…»
«Ma niente. Non c’è mai un motivo solo, semplice, confortevole. Ho scelto Ematologia perché mi sembrava abbastanza completa e mi apriva la strada sia per il lavoro in reparto sia per la ricerca. E poi perché sono riuscita a passarci»
«Tutto qui?»
«Ti sembra poco? Cosa credi che una persona di ventiquattro o venticinque anni solo perché ha una laurea in medicina sappia perfettamente cosa vuol fare per il resto della sua vita? Magari. Il più delle volte, se è fortunata, ha delle idee tra cui  fare una scelta. E sembra sempre così presto per farla e sappiamo sempre così poco per farla che non è poi così difficile finire in delle vite che non c’entrano nulla con quello che siamo o vorremmo essere. Ci vuole un giusto equilibrio tra intelligenza, realismo e fortuna. Ma, come pensavo, tu non puoi capire», e spegnendo la sigaretta si allontana dopo aver salutato il mio amico con un cenno del capo.
«Aspetta», grido, «non puoi lasciarmi così. Ho ancora un sacco di domande! Pneumologia! Andrologia! Colon-proctologia! Per l’amor del cielo, perché uno sceglie di diventare un colon-proctologo? Ci deve essere un motivo!»
Ma lei non si volta e il mio amico scuote la testa poggiandomi una mano sulla spalla.
«Non te la prendere, Renato», mi dice comprensivo, «non voleva essere cattiva»
«Ma…ma…e il medico di base? O di famiglia, come diavolo si chiama. Perché lo fa?»
«Non vuoi saperlo davvero, fidati. Su, andiamo»
E sempre senza lasciare la mano dalla mia spalla, mi conduce verso l’uscita.

Epilogo: le leggi non scritte degli dei
«Allora, soddisfatto più o meno?», mi chiede ormai visibilmente più leggero.
«Mah, non saprei. Non che ci abbia capito poi molto»
«Ed è esattamente così che deve andare. Alla fine, non esistono le specializzazioni, esistono gli specialisti. Che sono esseri umani e quindi scelgono in base a milioni di criteri diversi e che, soprattutto, ti servono quando ti servono. Quindi la gerarchia della medicina è sempre mutevole: al primo posto c’è il medico che ti serve in quel momento, al secondo c’è sempre Google, e al terzo c’è il medico che ti serve ma che ha studiato nel canale L-Z»
«Cos’è questa? Un’altra delle vostre verità esagerate per gli altri?»
Ma il mio amico si limita a sorridere e non risponde.
«Beh, ti ringrazio per l’esperienza», gli dico in prossimità dell’uscita.
«Non è stato poi così male»
«No, infatti»
«Beh, allora ci si vede»
«Già, ci sentiamo»
Ci separiamo ma, mentre sto attraversando, sento una voce che mi raggiunge alle spalle.
«Ohi Rena’», mi urla il mio amico, «se vuoi continuare a cercare di capire le scelte dei futuri medici non scordarti di Freud!»
Mi volto verso l’altro lato del marciapiede.
«Che c’entra Freud?»
«Il complesso del dr. Edipo»
«Eh?»
Una panda grigia passa in quel momento coprendoci dalla vista l’uno dell’altro.  Tutto quello che sento è allora la sua voce sfumata proveniente dall’altro lato della strada. Che dice
«Chiedi sempre la specializzazione del padre»

piantina

P.S.
Questo post si affianca e completa quella che si può definire la Trilogia della Medicina. Idealmente occuperebbe il posto di mezzo tra “Non per un dio ma nemmeno per gioco: gli amici che studiano medicina” e “Il 118 su Whatsapp: gli amici medici e gli amici ammalati”
Vabbé, in ogni caso, sticazzi.

23 thoughts on “Come si diventa ciò che si è: gli amici medici e le loro specializzazioni

  1. Da specializzando in Nefrologia, mi saró lisciato il mio pizzetto almeno 4 volte. Ci mancava dicessi: quel capellone col pizzettl con l’illusione negli occhi di avere sbocchi lavorativi è un nefrologo. Complimenti per l’analisi! E mi raccomando occhio agli elettroliti 😄

    • Non c’era spazio per tutto. Ma già che ci siamo gli endocrinologi sono tipo i sommelier della medicina. Gente di classe, poco appariscente, e che sa che la maggior parte degli altri non saprebbe distinguere una ghiandola da un ormone

    • E infatti mai parlato di raccomandazioni. Sono un garantista di proporzioni bibliche. Se ti riferisci al finale, parlavo letteralmente di complesso di edipo. In termini di influenza, di voglia di proseguire, di voglia di distanziarsi

  2. Gli altri post su chi studia medicina erano divertenti ma questo sinceramente…sembra scritto da un ragazzino.
    L’unica cosa positiva è il messaggio molto veritiero sul fatto che le scelte a volte sono fatte per caso e dipendono molto dalle circostanze.

    PS:non studio medicina

    • Tu pensa che io la penso all’esatto contrario. Cioè il primo post, a rileggerlo ora, mi pare molto “da pischello”. È la croce e la delizia della scrittura: poche certezze, tante interpretazioni. Grazie comunque per avermi letto

    • In verità ti dico: un perfetto ritratto.

      Firmato: una “signorina” che all’alba dei suoi venticinque anni ha deciso di diventare otorinolaringoiatra (ma sono vecchia dentro, quindi torna tutto, tranquillo)

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